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Milazzo Giornata della Memoria, iniziativa al teatro Trifiletti


Milazzo gennaio 2012 

L’assessorato alle Politiche educative del Comune in collaborazione con l’istituto tecnico Economico e Tecnologico “L.Da Vinci”, in occasione della giornata della Memoria il 27 gennaio, ha promosso al teatro Trifiletti, con inizio alle 21, la rappresentazione “La storia in teatro” – Viaggio a ritroso dalla Shoah ad Abramo – Musica, riflessioni, testimonianze. Ad aprire i lavori il sindaco Carmelo Pino e l’assessore Stefania Scolaro.
 
All'iniziativa erano prsenti i familiari del professor Domenico Aronica, partigiano, deportato nei campi di concentramento di Gusen e Mauthausen, autore del libro “La tragica avventura”. Gli addobbi floreali sono stati  realizzati dagli studenti dell’Istituto professionale per l’Agricoltura e l’Ambiente – sezione di Milazzo. Ricordare la Shoah – afferma il sindaco Pino – è importante non solo per condannare la crudeltà dell'uomo ma per dare speranza. Conoscere significa infatti avere gli strumenti per comprendere le cause e le responsabilità, ma anche le conseguenze terribili generate dalla guerra. Ogni iniziativa tesa a mantenere la memoria e non solo in occasione di questa giornata, è quindi ben accolta perché come scritto in trenta lingue su un monumento del campo di concentramento di Dachau: “ Chi dimentica il passato è condannato a riviverlo.”  “Occorre lavorare tutti insieme come Istituzioni perché i giovani crescano nei valori della nostra Costituzione – ha aggiunto l’assessore Stefania Scolaro - nella libertà e nella democrazia in una so-cietà dove le differenze e le diversità di razza, cultura, sesso e religione siano un valore aggiunto e non motivo di divisione e di odio”.

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Un milazzese nei campi di concentramento. "Mangiavamo pane e segatura e bucce di patate"
Fonte la Città di Milazzo News - Attualità
Scritto da Redazione   
Venerdì 27 Gennaio 2012
tesseralioto
In occasione della "Giornata della memoria", che celebriamo il 27 gennaio 2012, Il Gionale "La Città" un articolo uscito sul proprio  mensile, nel numero di febbraio 2009. In questo scritto, il  redattore Santo Laganà, ci racconta la storia di Alberto Alioto, milazzese, scampato ad uno dei campi di concentramento tedeschi istituiti durante la Seconda Guerra Mondiale.




"La domanda è se un "Giorno della memoria" serve; se non è un meccanismo di ripetizione, che evoca un evento, ma esenta dal partecipare in prima persona. Basta l'automatismo della data, un minimo di rispettosa citazione per avere compiuto un dovere. Se quel dovere non c'era, più o meno, tutto andava avanti come prima: buoni, cattivi, un'immensa zona grigia. Quel che è stato è stato e ci pensa  la storia che, comunque, in momenti diversi viene riscritta" (Furio Colombo). In un momento storico  in cui la storia la si legge per le esigenze dell'oggi, noi non raccontiamo la storia che ci piace o quella che ci conviene, ma quella di un  testimone, per due anni prigioniero in un "campo di lavoro" tedesco, accanto al quale c'era un lager con camere a gas e forno crematorio. Una storia da ricordare. Anzi,  da non dimenticare.

Alberto Alioto, classe 1922, milazzese, figlio di un rais della tonnara della famiglia Calapai,  è un giovane marinaio ventunenne, quando l'8 settembre del  '43 si trova a bordo di uno dei caccia torpediniere della Regia Marina Italiana nel porto del Pireo. In quei momenti di smarrimento, dopo la "fuga" vergognosa del re, qualcuno dice a quel marinaio e ai suoi commilitoni che li riporteranno in Italia. Li fanno salire su un vagone di un treno, li chiudono. Quando il vagone si riapre il nostro marinaio si trova a Jena in Germania, in un campo di concentramento, Schutsenhofsstras-se, 43. Non è un campo di sterminio, si tratta di un campo di lavoro. Il marinaio che, prima di partire per la guerra faceva il panettiere, si ritrova a lavorare lungo una ferrovia.
"Eravamo circa 60 dentro una camerata e il ricordo più grande che ho è quello della fame. Ci davano da mangiare 100 gr di pane al giorno, pane che era farina impastata con segatura; quando ci trovavamo fuori dalla camerata rovistavamo fra la spazzatura per trovare le bucce di patate che riportavamo  dentro e arrostivamo sulla stufa. La sveglia era alle 6 di mattina e ci accompagnavano a lavorare lungo una linea ferrata. Durante il percorso qualche volta trovavamo qualche mela lungo la strada e, talvolta, nei rari momenti di riposo, ci riusciva di rubare qualche fragola da alcuni giardinetti privati che si trovavano lungo la ferrovia."
Informiamo il sig. Alioto che recentemente un vescovo ha negato l'esistenza delle camere a gas che, secondo lui, servivano solo a disinfettare. "Nel mio campo non c'erano camere a gas. Si trovavano in un lager poco distante. E c'erano anche i forni crematori. Lo sapevamo perché ce l'avevano detto alcuni operai civili che lavoravano con noi e, comunque, lo sapevamo perché quando qualcuno di noi stava male lo prelevavano, gli dicevano che lo avrebbero portato in ospedale e, invece, lo portavano a morire nelle camere a gas e nei forni. Forse il sapone che ci davano era fatto con quello che restava di quei poveretti cremati".
Due anni lunghissimi senza speranza e con l'annullamento totale della personalità. " Mi ricordo un napoletano che ogni sabato ci diceva: Un'altra settimana della nostra vita è passata", quell'altro compagno di sventura che non ce l'ha fatta e un giorno recatosi in bagno non è più tornato. Si era suicidato tagliandosi la gola.  I militari tedeschi ce l'avevano in particolare con noi italiani. Quando cominciarono i bombardamenti degli alleati, lasciavano solo gli italiani nelle camerate, gli altri li portavano nei rifugi." Il sig. Alioto tradisce qui una forte emozione che, fortunatamente, supera in breve. "Quando finì la guerra ci misero su un treno e ci portarono a Vienna; qui ci liberarono dai pidocchi e rimanemmo ancora in attesa di tornare in Italia.
Anche a Vienna, da uomini liberi, soffrimmo la fame. Mi ricordo che una donna, vedendoci chiedere in strada da mangiare, ci buttò dalla finestra la sua tessera per il pane".
Tornai a Milazzo insieme ad un commilitone di Lipari, tale Salvatore Natoli. I miei genitori mi credevano morto anche se avevano una lieve speranza alimentata da una veggente di Milazzo presso cui andavano a fare la scuta ". Cosa si sente di dire ai giovani e alle persone che non hanno vissuto quell'orrore, gli domandiamo. " Meglio morto che in un lager".
Cosa  altro aggiungere?
Santo Laganà
 

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