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Gaspare Sturzo a Milazzo



Presentazione del Partito

“Italiani liberi e Forti”

Anche Milazzo - accoglie l'appello di "Italiani Liberi e Forti " il nuovo Partito fondato , tra gli altri, dal pronipote di Don Luigi Sturzo, candidato alla presidenza della Regione Siciliana. Una platea, numerosa e particolarmente interessata, venerdì 31 agosto 2012, alle ore 19,00 presso il Salone Parrocchiale Chiesa Sacro di Milazzo - ha voluto testimoniare la disponibilità al radicale cambiamento di questa classe politica dimostratasi inadeguata alle sfide della clobalizzazione ed al mondo che cambia. facendo sprofondare la Sicilia. L'indignazione del popolo Siciliano è grande, lo dimostrono i dati dell'alta volontà di astensionismo previste per le prossime elezioni regionali di fine ottobre 32012. Ma si deve uscire e si puo uscire da questo pantano Questa è la sintesi dell'incontro di Milazzo che è stato il filo conduttore dei vari interventi che hanno caratterizzato l'uscita ufficiale del nuovo soggetto Politico.

E' stato proprio il Dott. Gaspare Sturzo, ad illustrare “Le ragioni della nascita di Italiani Liberi e Forti , e del nuovo - appello ai Cattolici e Laici per una “Sicilia nuova.”

"Con la nascita di ILeF e la candidatura di Gaspare Sturzo alla presidenza della Regione siciliana si ritorna a parlare concrteamente dell’impegno dei cattolici in politica. Un ritorno vero e proprio al futuro per il mondo cattolico che si vuole riorganizzare e rendersi partecipe alla vita politica attiva contribuendo direttamente ed assumendo in primo piano impegni e responsabilità, secondo lo spirito e la concezione di Don Luigi Sturzo.
L’associazionismo cattolico non può rimanere fuori dalla competizione politica regionale permettendo che le scelte decisionali siano lasciate alla classe politica che ci ha governato e rappresentato indegnamente. E’ un dovere e in tal senso bisogna muoversi principalmente per gettare le basi organizzative per un ricambio non solo dell’attuale classe dirigente incapace, ma anche e soprattutto per riportare la politica alla sua più nobile e dimenticata funzione di servizio del bene di tutti e non dei pochi, come realmente oggi avviene.

Il documento programmatico di Gaspare Sturzo per la candidatura alla Regione siciliana
Pubblicato 02/08/2012 | Da Gaspare Sturzo
NOI SICILIANI PER QUALE SICILIA SIAMO DISPOSTI A LOTTARE?



La domanda è legittimata dallo sfascio della politica, dell’economia e della finanza siciliana, anche se la battaglia può sembrare idealistica. Può essere svilita dai praticoni della vecchia politica, da quelli che ti chiedono qualcosa in cambio, da quelli che ti ordinano di fare qualcosa (lobby, potentati, sistemi criminali e mafiosi).

Sarò molto chiaro e utilizzerò le parole di Luigi Sturzo pronunciate alla vigilia delle sue prime elezioni municipali di Caltagirone per farvi capire cosa vuol dire per me, per noi, per il nostro futuro attualizzare la dottrina politica di Luigi Sturzo nella idea del NEOPOPOLARISMO.



Io non vi darò nessun compenso per il voto, né vi prometto alcunché di personale, tranne che una buona amministrazione quando avrò conquistato la maggioranza. Chi mi vuole, mi dia il voto; chi non mi vuole, voti per gli altri.



Sarò idealista? Forse, ma dove ci hanno condotto i “pratici” della politica come arte di sfruttamento del prossimo e abuso delle risorse pubbliche?

PER ARRIVARE ALL’IDEALISMO OCCORRE AVERE IDEALI

Per avere ideali occorre avere valori. Per avere valori occorre credere in qualcosa. NOI IN COSA CREDIAMO? POSSIAMO LOTTARE PER “RIVOLUZIONARE” QUESTA SICILIA?

Tutti i numeri, che da giorni Bankitalia, Corte dei Conti, agenzie internazionali, mass-media e Governo nazionale stanno fornendo, danno le dimensioni di un problema che questa classe politica e dirigente non è stata in grado di arginare. I fatti ci dicono che questa classe politica si è rifiutata di dare l’esempio sui tagli agli stipendi dei parlamentari e al governo regionale, sul congelamento delle nomine, sulla riduzione del numero dei parlamentari regionali, sui tagli degli enti inutili, sull’eliminazione dei privilegi.

Il Parlamento regionale, ben consapevole della estrema pericolosità del Governo Lombardo, non è riuscito a trovare la forza per votare una sfiducia congiunta. Ha trovato la forza però di opporsi ad un emendamento che impediva la nomina ad indagati, imputati e condannati per fatti gravissimi, sebbene qualche giorno prima sia stata nominata anche una persona detenuta e ci siano un gran numero di parlamentari inquisiti e condannati.

Questo Parlamento Regionale con i suoi deputati ha scelto di usare l’autonomia per approvare un bilancio oscuro, ha trovato la forza per assumere i dipendenti dei partiti senza concorso, ha trovato la forza per sanare altre migliaia di persone assunte attraverso l’ingresso secondario del precariato, in barba ai tanti giovani che hanno studiato conseguendo lauree e che non trovando concorsi uguali per tutti avranno da scegliere tra il ricatto del precariato e del voto di scambio o andare via.

È una assemblea regionale con un coefficiente bassissimo di produzione normativa e costi e prebende ancora da casta a tutti i livelli, stipendi, assistenza sanitaria, pensioni e privilegi vari. Un sistema che le cronache dei giornali indicano ALLARGATO A DISMISURA con dirigenti, consulenti, appalti di servizi e forniture ritagliati secondo modelli di favori, clientele e parassitismi.

Questa classe di dominatori ci chiede di immolarci, lasciando sempre inalterata la logica di potere che rende loro dominatori del nostro destino e noi sudditi dei loro voleri. Così davanti al peso del disavanzo da colmare dobbiamo accettare la riduzione sulla quantità e qualità dei servizi, subire l’aumento dei costi delle aliquote regionali e locali, sottostare all’inefficienza di una macchina burocratica mastodontica incontrollabile, che non serve i cittadini, ma si serve dei cittadini, che appesantisce di oneri burocratici impropri la vita dei cittadini e degli imprenditori con un costo medio nazionale stimato dalla CGIA di Mestre per le PMI di 26,5 miliardi l’anno e un aumento nel 2011 di circa il 15%: queste sono tasse occulte.

A tutto ciò in Sicilia dobbiamo aggiungere il peso delle mafie: altra tassa occulta girata sul consumatore finale. A livello nazionale il peso della corruzione è di circa 60 miliardi di euro l’anno; la Corte dei Conti stima un aumento di costo per la produzione di beni e servizi per il fattore corruzione pari al 40% rispetto al resto d’Europa. Un’indagine Kroll 2012 indica che una impresa su cinque paga tangenti e ha fondi neri con bilanci falsi.

Evasione fiscale: la GDF ha accertato redditi non dichiarati a livello nazionale per oltre 50 miliardi di euro e Iva evasa per oltre 8 miliardi di euro solo nel 2011. In Sicilia nel 2011 sono stati accertati redditi non dichiarati per 517 milioni di euro; il dato è ora in aumento; sempre la GDF ha accertato che da gennaio a maggio scorso su 3.483 verifiche e controlli sono stati scoperti 526 milioni di euro di redditi non dichiarati e costi indeducibili e un mancato versamento dell’Iva per 72 milioni di euro.

Frodi su Fondi Comunitari (I SOLDI DI NESSUNO): la Guardia di Finanza, nel solo 2011, ha scoperto 1.400 casi di frode comunitaria e recuperato 252 milioni di euro. In Sicilia la GDF per il 2011 ha scoperto truffe comunitarie per un ammontare pari ad oltre 26,1 milioni di euro, di cui indebiti finanziamenti per 18,6 milioni e 7,5 milioni concessi ma bloccati a seguito dell’intervento dei finanzieri.

Riciclaggio: Le Fiamme Gialle stimano il giro d’affari in circa 4,5 miliardi di euro di cui 2,7 miliardi di euro derivano da frodi fiscali, 1,1 miliardi di euro da truffe e reati connessi, e 44 milioni da traffici di stupefacenti ed usura.

Beni sequestrati e confiscati alle mafie: secondo il Ministero degli Interni nel periodo dal 2008 al giugno 2011 in Sicilia sono stati sottratti alla mafia beni per 9,5 miliardi di euro. In totale l’Agenzia nazionale Beni confiscati detiene oltre 12 mila beni tra aziende e immobili, di cui 5.272 (oltre il 43%) in Sicilia.

Chi paga questi oneri? Noi cittadini utenti e consumatori. Chi si deve opporre? Noi cittadini partecipando a costruire un nuovo modello di società, di politica e di classe dirigente: SONO LE PERSONE CHE FANNO LA DIFFERENZA NEL BENE E NEL MALE. CHI SI RITIRA DALLA BATTAGLIA PER IL BENE COMUNE LASCIA SPAZIO LIBERO AI DOMINATORI, AI PARASSITI, AI PROFITTATORI E AI CRIMINALI.

NOI DOBBIAMO DECIDERE:
se tutto questo ci sta bene,
se ci accontentiamo delle molliche che i dominatori fanno cadere dalle tavole imbandite della “spartitocrazia”.

Oppure se vogliamo conquistare assieme qualcosa di diverso.

IDEALISTI!

È da idealisti lottare per un’autonomia regionale che non serva a creare sistemi di potere inutili e dannosi allo sviluppo sociale, culturale ed economico dei siciliani?

È da idealisti progettare una democrazia della partecipazione e della responsabilità che rifiuti il clientelismo, il familismo, gli accordi con i sistemi lobbistici massonici e mafiosi?

È da idealisti combattere per la difesa del denaro pubblico, per un uso trasparente, monitorabile e misurabile negli effetti prodotti?

È da idealisti chiamare tutti noi assieme ad assumere la responsabilità nella costruzione di una nuova società siciliana, che abbia uno spartiacque, un vallo, una cortina di ferro tra passato e futuro?

È da idealisti pensare a contribuire a formare ed eleggere una nuova classe dirigente onesta, competente e responsabile?

OCCORRE UNA SCOSSA ETICA!

Questa scossa ad alto voltaggio deve riguardare innanzitutto la società siciliana. Cominciamo da noi, da quelli che sentono di appartenere da laici cattolici ad una visione di una società cristianamente ispirata, che vuole operare secondo giustizia sociale e pace fraterna tra gli uomini.

Andiamo oltre noi, apriamo la nostra visione al confronto accogliente con tutti i laici siciliani, che liberi dal pregiudizio capiscano che l’ora è grave, che le riforme che servono sono importanti, che le azioni che dovremo fare riguarderanno tutti, che avremo il carico ulteriore di dover essere solidali con chi è stato lasciato indietro, con chi per anni è stato sfruttato dai dominatori, dai parassiti e dai criminali della politica, dell’economia e della finanza, di dover essere chiari con tutti: è finito il tempo delle clientele e dei favoritismi.

Sarà dura all’inizio, ma poi saremo liberi dal vincolo dei dominatori dei vecchi leaderismi, riconquisteremo i nostri spazi di indipendenza, responsabilità, capacità, onestà intellettuale.

UNA SCOSSA ETICA, NON AL CADAVERE ECCELLENTE DI QUANTI SONO LA VECCHIA POLITICA, di quanti hanno voluto questo Governo trasformista con il suo modello di clientele già alle precedenti elezioni, di quanti lo hanno votato e sostenuto nel corso delle sue capriole milazziste, di quanti astenendosi, uscendo, patteggiando fasulli voti contrari lo hanno condotto a quest’ultima disastrosa battaglia.

UNA SCOSSA ETICA alla mala bestia della non cultura siciliana, quella della “robba”, dell’accordo sottobanco, della trattativa, della spartizione, dei contributi e dei finanziamenti agli amici, delle assunzioni senza concorso, degli appalti illeciti, delle consulenze fasulle, degli incarichi e delle nomine a gente con la sola competenza dell’appartenenza.

UNA SCOSSA ETICA che riporti l’attenzione sul nostro futuro, su quello dei nostri figli, dei giovani alla ricerca dell’occupazione, della qualificazione scolastica e universitaria, che renda possibile l’accesso alle professioni, al mondo dell’impresa, a una nuova pubblica amministrazione.

NOI SIAMO E DOBBIAMO ESSERE QUELL’AVANGUARDIA DEL POPOLO SICILIANO capacedi avere voglia di riscatto, di saper discernere tra radici buone e cattive, di saper sollevare la bandiera della dignità, onestà, competenza, responsabilità e partecipazione, dal fango in cui è stata gettata da questi disertori del bene comune.

DA QUI, ORA E OGGI, CON QUESTI CRITERI, COMINCIA LA NOSTRA COSTRUZIONE DI UNA SOCIETà SICILIANA DIVERSA RISPETTO AL PASSATO. Da indignati a contestatori: abbiamo cominciato una maturazione lenta di una protesta, ma alla protesta occorre aggiungere la proposta.

OGGI SIAMO “Dissidenti Siciliani Organizzati e decisi ad agire” per la rimozione delle cause del malessere sociale, dell’incapacità e del malaffare economico, della malversazione politica, della prevaricazione criminale e mafiosa.

POSSIAMO FARLO?

SE SÌ, COSA DOBBIAMO FARE?

SE SÌ, COME LO DOBBIAMO FARE?

SE SÌ, QUANDO LO DOBBIAMO FARE?

SE SÌ, CON CHI LO DOBBIAMO FARE?

COSA DOBBIAMO FARE È IL GRANDE TEMA:

ABBIAMO QUI OGGI TRA NOI UNA VISIONE SOCIALE COMUNE DEI NUOVI SICILIANI e gli strumenti per analizzare e costruire questa nuova società. Occorre dare una “visione sociale nuova” centrata sui pilastri costituzionali e su impegni condivisi tra laici e laici cattolici che risolvano alcune questioni centrali.

La prima cosa chiara è che la nostra comunità nazionale e siciliana è fortemente influenzata dalla presenza ingombrante di un SISTEMA DI PUBBLICA AMMINISTRAZIONE che avrebbe dovuto garantire un processo di sviluppo e di crescita.

Invece è divenuta l’imbuto, la cruna dell’ago, lo strumento dell’inefficienza, da saltare attraverso l’intermediazione clientelare, partitocratica, criminale. Secondo l’attuale sistema la PA non deve funzionare perché così si limita l’accesso ai diritti, ai beni e ai servizi ai cittadini che devono rivolgersi ai capi bastone, ai guardiani del tempio sacro della politica, alle coppole storte che governano i territori, consegnando il proprio destino a queste intermediazioni illecite; la PA non deve funzionare perché così si garantiscono i gruppi oligopolistici che dagli anni 70 inquinano la vita della nostra nazione, controllando l’economia, la finanza, il sistema dei mass-media, la politica: si limita l’accesso di nuovi soggetti nel mercato, si evita l’ingresso di tecnologie, attività e processi produttivi innovativi e concorrenziali; la PA non deve funzionare perché la cristallizzazione del vecchio conservi i poteri attuali: conservazione degli uomini, dei metodi e dei modelli della Prima Repubblica, impedire ogni ricambio generazionale che non si pieghi a questi modelli di cattiva politica, ai metodi parassitari, illegittimi e illeciti di gestione del potere.

Per non fare funzionare la PA il metodo migliore è quello siciliano: assunzioni di favore, assenza di concorsi pubblici, ciclo del precariato da sanare e in sanatoria; trimestralisti, società para pubbliche cui trasferire attività inutili o che già compie la PA per assumere senza concorso tra schiere di beneficiati.

Noi non possiamo avercela con quell’esercito di persone lasciato in uno stato di bisogno per sfruttarla attraverso il ricatto elettorale giocato sul precariato, sul trimestralista forestale, sull’incarichetto. Noi non possiamo avercela con i pubblici dipendenti lasciati senza ordini tra trincee e riserva, che di fronte alla pubblica opinione che incalza, con timore indietreggia sconfitto e umiliato.

Noi dobbiamo chiedere a queste persone di unirsi nella lotta affinchÉ:

MAI PIÙ NESSUN SICILIANO DEBBA SUBIRE
L’UMILIAZIONE DELLA RACCOMANDAZIONE
L’INCERTEZZA DEL PRECARIATO
IL RICATTO DEL VOTO DI SCAMBIO
IL DISCONOSCIMENTO DEL PROPRIO VALORE E MERITO
L’ONTA DI DOVER REALIZZARE ATTI AMMINISTRATIVI CONTRARI AL PROPRIO DOVERE E ALLA LEGALITÀ
LA PAURA DELL’OMERTÀ IMPOSTA DALLA VIOLENZA CLIENTELARE

Noi dobbiamo chiedere a questi dipendenti pubblici di tornare ad essere baluardo di legalità, agenti di promozione del bene comune e del benessere sociale, responsabili dei risultati delle azioni dei loro pubblici uffici.

In sintesi: dipendenti, funzionari e dirigenti pubblici siciliani venite con noi a lottare per il passaggio epocale dal regime dittatoriale della clientocrazia spartitocratica a quello della democrazia meritocratica. Farà forse paura ad alcuni, richiederà un adattamento mentale, nei costumi e nei modelli di lavoro, maggior sforzo e impegno, rinunce a certi tempi liberi o a doppi lavori, ma questa è la chiave di volta più importante per la ripresa della Sicilia e per creare un futuro ai nostri figli. Non lasceremo indietro nessuno, non puniremo nessuno, ma ci impegniamo a riconoscere, qualificare e difendere chi avrà voglia di lavorare meglio, di più, con un nuovo spirito di partecipazione responsabile.

Noi siamo per la centralità della persona umana, la difesa di tutto il suo ciclo di vita, a tutto tondo dalla generazione alla fine della vita. Come costruiamo questo assioma che è cristiano, ma anche laicamente umano?

Non c’è vita e dignità, se non c’è aspettativa legittima di lavoro, speranza di accesso al lavoro secondo parità di partenza, trasparenza nella selezione secondo merito, produzione di processi di controllo delle scelte; non c’è vita e dignità se non lottiamo contro le droghe;non c’è vita e dignità, se non distruggiamo le prevaricazioni delle corruttele, clientele, mafiosità e estorsioni di ogni tipo; non c’è vita e dignità, se non preveniamo i danni alla salute garantendo le risorse ambientali; non c’è vita e dignità, se non ci occupiamo degli anziani, dei malati, dei disabili, di chi rischia di restare indietro, di chi ha sbagliato contro la società delinquendo, delle famiglie che sono state travolte da questi cicli di degrado del tessuto umano; non c’è vita e dignità, se non difendiamo i diritti dei nascituri, dei bambini, degli adolescenti da tutti gli orchi più o meno organizzati; non c’è vita e dignità, se non ci carichiamo come comunità la sofferenza dei malati terminali e dei loro familiari; non c’è vita e dignità, se non passiamo dal fine di sfruttamento economico e finanziario di queste criticità umane, a una politica ed economia che sia il mezzo per intervenire in modo solidale e sussidiario per ridare valore alla persona, dando sicurezza sociale a chi ha bisogno.

Ciò vuol dire ricalibrare l’intero ciclo della sostenibilità pubblica in funzione dell’aumento di valore aggiunto che noi impiegati, funzionari, dirigenti regionali, che noi imprenditori privati, che noi professionisti, noi utenti e clienti, dobbiamo apportare alla vita della nostra comunità attraverso il lavoro pubblico e privato, cioè:

siamo tutti noi responsabili di questa difesa della dignità e del valore delle persone umane, secondo le scelte che assieme vorremo e sapremo fare: aumentare l’efficienza dei servizi, ridurne il costo, introdurre i concetti di competitività nella concorrenza e nella produttività dei servizi e dei beni, monitorare l’efficacia delle scelte, controllare la legittimità dell’operato, certificare la qualità della prestazione, premiare il merito e l’autorevolezza delle persone.

Noi quale ruolo vogliamo dare alla famiglia per consentirle di attuare i suoi compiti di responsabilità sociale? La famiglia costituzionale è umiliata dal mancato riconoscimento di soggettività; noi dobbiamo attivare in Sicilia, per gradi crescenti di impegno economico, il “fattore famiglia”, cioè la divisione per testa del carico fiscale in funzione dei componenti del nucleo familiare.

Gli studi qualificati ci dicono che ciò è in grado di sviluppare nuova economia e accelerare quella esistente: cioè maggiori consumi, nuova occupazione.

Una famiglia che perde la madre o il padre per una malattia, che esplode per dissapori interni, ha un costo umano di dolori e di lacerazioni del tessuto relazionale, che si ripartiscono sulla comunità solidale: donne malate, violate, figli abbandonati, mariti trascinati in povertà: dobbiamo ripensare le formule della sussidiarietà orizzontale e verticale, c’è un dovere di accompagnamento qualificato cui oggi la Regione e gli enti locali non riescono più a dare forza e forma, e che chiamerà noi corpi intermedi a svolgere un ruolo di intermediazione del rapporto bisogno/servizio.

Dobbiamo incentivare la formazione di sistemi di cooperazione e volontariato in grado di fornire un aiuto domiciliare qualificato e certificato, monitorabile nell’efficienza e nella qualità, alla famiglie con figli diversamente abili, anziani e malati.

A livello nazionale: dobbiamo renderlo detraibile dalle tasse IRPEF come e di più rispetto alle ristrutturazioni edilizie (50%), inserendo elementi volontaristici della banca del tempo e preparandoci alla progressiva diminuzione dell’indennità di accompagno.

Dobbiamo riqualificare la partecipazione dei genitori alla scuola e alla scelta educativa, superando le criticità della delega in bianco e delle doglianze per i torti, presunti o veri, subiti nell’ambito dello studio.

Come difendiamo la scelta delle donne di essere madri e di vivere nel mondo del lavoro?

Dobbiamo gridare viva le donne vive che combattono per la loro libertà dagli stereotipi maschilisti, che difendono il loro diritto alla maternità, che promuovono ogni giorno il processo di consolidamento degli affetti, che rivendicano il diritto a far parte del mondo del lavoro, che sanno di avere amore e rispetto per quello che fanno ogni giorno e che hanno diritto alla condivisione del carico e dei pesi della famiglia con il marito e i figli.

La donna che decide di lavorare, che si assume il rischio di fare l’imprenditrice, che vuole fare politica è pari all’uomo in teoria, ma deve avere dei riconoscimenti nella pratica vita di ogni giorno e la programmazione sociale, economica, politica; deve rispondere a questa esigenza a cominciare dal giusto salario pari a quello maschile.

Tutto questo ha un costo umano, familiare, sociale, culturale e economico che l’istituzione regionale e locale deve riconoscere: si chiama welfare sociale e sicurezza familiare.

Quali doverosi investimenti vogliamo fare su istruzione, cultura e formazione?

La politica dei tagli si sta abbattendo su istruzione, cultura e formazione.La nostra Sicilia ne sta pagando le conseguenze, mostrando la totale incapacità di spendere i fondi per la formazione, mentre continua a sperperare le risorse su beni culturali e ambientali non qualificati. Come il caso della riforma del Dirigente Generale Beni Culturali (Campo) che ha portato da 27 a circa 90 i “servizi” (i rami della burocrazia che “compongono” i singoli dipartimenti) con relativo aumento dei dirigenti, oggi annullata dal CGA per illegittimità della procedura seguita.

Abbiamo moltiplicato le Università, ma nessuno ha controllato cosa esse hanno prodotto, quali risultati di qualità e qualificazione delle risorse umane e culturali hanno saputo raggiungere. Stiamo lasciando morire la scuola libera, laica e cattolica, senza battere ciglio neppure per l’esercito di insegnanti e personale non docente che corre il rischio di perdere il posto.

Nessuno quantifica il rapporto sul costo pubblico del discente nella scuola e nell’università libera rispetto a quella di Stato (si dice 1 a 3).

Noi abbiamo paura della pianificazione di Stato che finisce per appiattire tutto, che spende più denari per organizzare l’organismo di pianificazione rispetto alle risorse da utilizzare per il fine dell’azione culturale, scolastica, universitaria e formativa.

La Regione Siciliana con tutti i suoi flop e con lo sperpero delle risorse, con la logica delle clientele, dei favoritismi, ha creato un esercito di qualificatori non qualificati e non qualificanti, eliminando la possibilità di scelta e la libertà di concorrenza che aumentano la qualità dei servizi.

Quali sono i servizi minimi garantiti per tutti i siciliani?

Si accorpano le scuole, si diminuisce l’offerta universitaria (sia nei siti che nei corsi di laurea), si chiudono gli ospedali, si limitano le forme di assistenza sociale, si riducono gli orari delle stazioni dei carabinieri, spariscono i giudici di pace, le Procure, i Tribunali, si minaccia la cancellazione dei trasporti ferroviari, aerei e marittimi con i centri minori; si chiudono cinema, teatri, musei e biblioteche; si trasformano intere realtà, quelle che sarebbero la ricchezza delle tradizioni culturali in campi dormitorio, quando non in paesi fantasma; in compenso si pagano sempre più tasse, aumentando il divario tra chi vive nei grossi centri degli affari istituzionali, economici, finanziari e politici e chi vive ai margini dell’impero.

Attenti, perché le lezioni di correttezza contabile, politica e morale che in questi giorni ci hanno impartito, nel confondere l’autonomia regionale con il modesto calcolo del trasformismo regionalista ci fa dire che L’INTERA SICILIA RISCHIA DI TORNARE AD ESSERE UNA PICCOLA PROVINCIA DELL’IMPERO, un granaio di Berlino senza grano, solo grane.

La difesa dell’identità e delle comunità locali ci deve impegnare a chiedere parità di diritti rispetto a eguale prelievo fiscale.

Ciò vuol dire un piano regolatore generale dei beni e servizi minimi essenziali che Stato e Regione devono garantire a tutti i cittadini; la parte superiore al minimo sarà di competenza dei Comuni, liberamente consorziati tra loro, secondo la logica della sussidiarietà verticale discendente.

L’ulteriore integrazione sarà compito della sussidiarietà orizzontale, cioè di quel complesso di organismi, associazioni, cooperative, scuole, università, parrocchie, oratori, movimenti religiosi e laici di ogni tipo, imprese di capitali o no profit, capaci di superare l’anacronistico senso della “robba” per passare all’idea della collaborazione del molteplice.

Il sistema dell’assistenzialismo, del favore e delle clientele ha mutato l’orientamento nazionale. Ciò che è compito dello Stato e di una Regione Siciliana o meglio creare le condizioni per lo sviluppo, la ricerca, l’impresa e la nuova occupazione. Purtroppo questi obiettivi sono diventati dettagli secondari di una spesa improduttiva volta al mantenimento di oneri sempre più grandi di sovrastruttura organizzativa (il 60% dell’economia siciliana dipende dalla spesa pubblica il 55% nel resto del Mezzogiorno, il 40% nel Centro Nord).

Dobbiamo centrare l’argomento non più sulle sovrastrutture pubbliche e sulla pianificazione dei super organismi, ma sulle finalità e sulle persone da accompagnare al lavoro; questo sarà il nuovo metodo per favorire l’accesso alle risorse pubbliche da utilizzare per rilanciare l’occupazione.

Nel pubblico occorre tornare alla selezione di merito attraverso i concorsi pubblici inderogabili per le assunzioni; l’avanzamento per merito secondo procedure concorsuali; le nomine di alti dirigenti devono essere garantite da commissioni qualificate, linee guida trasparenti, curricula pubblici, decisioni monitorate, rispetto della normativa.

Nel privato bisognerà già aggiornare la legge Fornero; c’è oggi una crisi che rischia di far scomparire nel nero migliaia di posti di lavoro, soprattutto dei giovani, di paralizzare l’ingresso in azienda e di incentivare i licenziamenti dei lavoratori più anziani.

Vogliamo lanciare una iniziativa regionale eccezionale per l’assunzione di nuova forza lavoro in deroga al cuneo fiscale e previdenziale, in aree a tassazione differenziata; se l’Europa dirà no, noi risponderemo come i Tedeschi, abbiamo la nostra Carta Costituzionale dell’Autonomia e quella del 1948; sarà la Corte Costituzionale a decidere quali pilastri sociali della nostra comunità nazionale andranno difesi; se quell’articolo 1 sul lavoro, se le norme sulla responsabilità sociale dell’impresa, se la difesa della produzione e del risparmio nazionale sono principi pari almeno alla difesa del territorio nazionale, dell’ordine e della sicurezza pubblica.

Quale valore diamo al futuro dei nostri figli? Credo che l’attualità della situazione economica nazionale e siciliana sia abbastanza chiara da farci comprendere che le risorse pubbliche per il settore sono assai limitate; occorre tagliare sprechi e illiceità per ottenere un capitale minimo per un programma regionale per l’occupazione giovanile, ciò però non è sufficiente, perché non ci coinvolge direttamente come cittadini, come persone nella responsabilità verso le generazioni future.

NOI SIAMO PER LA DEMOCRAZIA PARTECIPATA: lanciamo un referendum consultivo tra datori di lavoro e lavoratori pubblici e privati per la costituzione di un fondo nazionale per l’occupazione giovanile implementato da una ora di lavoro straordinario gratuita al giorno per lavoratore, defiscalizzata e con copertura previdenziale, pensionistica e assicurativa gratuita statale e che l’azienda paga come corrispettivo al fondo nazionale come ora ordinaria.

L’azienda avrebbe il vantaggio di avere circa 20 ore mensili a basso costo che abbatterebbero il costo totale del lavoro in azienda, un aumento di produttività e di competitività.

Le risorse potrebbero essere utilizzate in tempi rapidissimi per borse lavoro e progetti di sviluppo anche in ambito di ricerca applicata, scuola professionale, università.

Quale richiamo dobbiamo fare alle imprese, affinché riscoprano il rapporto responsabile con le comunità locali?

Con il Piano Giavazzi sta arrivando la fine delle contribuzioni di favore nei mille rivoli che il Governo nazionale intende tagliare alle imprese; sembra che sarà creato un fondo unico ove attingere per i grandi programmi nazionali; ciò inciderà anche a livello regionale, dove il sistema di spartizione dei fondi europei e nazionale ha creato solo uno sviluppo limitato, riscontrabile nelle mille aziende abbandonate, nei capannoni in disuso, nelle bandiere ingiallite di protesta.

Occorre recuperare risorse spostando il plafond
finanziario regionale dal sistema dei servizi pubblici allargati (34% del bilancio in Sicilia – Lombardia 13%) all’economia di sviluppo;

abbiamo bisogno di una nuova classe dirigente e imprenditoriale che sappia riprogrammare lo sviluppo in Sicilia per rilanciare l’economia e sostenere le imprese vere e attive. Attenzione perché il danno da mancata attuazione dei Fondi europei (FESR, FSE e PSR) non è solo un danno economico immediato per la nostra economia da mancati incentivi allo sviluppo, ci mette a rischio di perdere quanto stabilito a favore della Sicilia nell’Agenda 2007/2013, di mettere a rischio e di dover restituire quanto impropriamente e illecitamente utilizzato, ci ha reso indegni rispetto al consesso nazionale, europeo e internazionale, perché siamo tagliati fuori da ogni tipo di ragionamento per ciò che avverrà dopo il 2013.

La nostra classe politica e dirigente siciliana non è ritenuta credibile (i dubbi sul bilancio ne sono la prova – la controprova è il congelamento del rating), e di questo noi cittadini, noi lavoratori, noi associazionismo culturale, noi movimenti ecclesiali, noi Chiesa, noi sindacati, noi organizzazioni datoriali abbiamo una responsabilità crescente per il loro malaffare!

Cominciamo allora a pensare come intervenire su Termini Imerese (area ex Fiat) e il suo indotto, Francavilla Tirrena (area ex Pirelli), l’area di sviluppo di Catania, i cementifici di Porto Empedocle (area ex Italcementi); queste sono battaglie di giustizia sociale, solidarietà nazionale e per un nuovo sviluppo regionale; certo ci sono esempi come i 650 milioni di opere infrastrutturali promesse dalla Regione (asse 6) e mai avviate per mancato impegno delle risorse; questa è una delle ragioni per cui le grandi imprese sono andate vie dalla Sicilia!

C’è una realtà imprenditoriale siciliana che deve riflettere sui propri errori e fare scelte nuove e di responsabilità solidale e sussidiaria.

Basta attendere briciole di potere sottobanco. Cari imprenditori non siete stanchi di dovere barattare la vostra dignità, libertà, capacità d’intrapresa, rischio dei vostri capitali, con i mezzucci della Prima Repubblica?

L’imprenditoria siciliana deve mostrare la sua capacità di fare un passo avanti responsabile verso una economia che sta morendo, consorziandosi nel prendersi cura di queste aree con nuovi progetti comuni, aumentando il capitale di rischio proprio e non solo quello dei contributi o dei finanziamenti, mentre ai sindacati spetta una funzione di partecipazione alla concertazione al tavolo regionale, virtuoso e trasparente, per rilanciare nuova economia e nuove attività con nuova occupazione su queste aree.

Un piano straordinario per il lavoro nella nostra regione nato su queste basi che impegni le risorse disponibili subito verso le aree industriali in crisi della Sicilia. Certo si può fare di più:
Piano Euromediterraneo;
Piano global legal standard;
Piano tutela prodotti agricoli siciliani per salute e “made in Italy”.

Come possiamo riaccendere la collaborazione tra capitale e lavoro per rispondere all’offensiva della concertazione finanziaria internazionale e al sistema delle super banche?

Dobbiamo introdurre i lavoratori nel piano di partecipazione alla proprietà del capitale aziendale nella forma di azioni di risparmio o di obbligazioni convertibili, consentendo la partecipazione agli utili aziendali, alla vita economica, amministrativa e alle scelte di impresa.

Dobbiamo ricostruire il tessuto delle banche locali, rilanciando il ruolo delle Banche Popolari e del Credito Cooperativo, che sono le strutture più vicine alle persone, famiglie e aziende.

Dobbiamo diminuire il ricorso alla finanza pubblica, che gioca con il sistema dei derivati o strumenti finanziari ad alto rischio e che si impegna con super banche o finanziarie internazionali, spostando verso l’estero il prodotto dei risparmi e delle tasse.

SE SÌ, COME LO DOBBIAMO FARE?

Basta pensare che un uomo solo al comando sia sufficiente

Nessun uomo della provvidenza

Dalle comunità venga l’analisi del fabbisogno, vengono i progetti di sviluppo

SE SÌ, QUANDO LO DOBBIAMO FARE?

Il nostro tempo è… OGGI

OGGI i sistemi leaderistici, clientelari, spartitocratici sono in difficoltà.

OGGI le persone stanno capendo che questa guerra finanziaria globale sta spazzando un vecchio mondo con i suoi orpelli gattopardeschi.

OGGI il popolo è in grado di capire che tutte le promesse sono false, truffe, ricatti immondi.

OGGI è la finestra che aspettavamo per far emergere quel dissenso motivato in forma organizzata e politica

OGGI è il tempo di colpire la cariatide del consociativismo fallimentare del tempo supplementare della Prima Repubblica.

SE SÌ, CON CHI LO DOBBIAMO FARE?

Con nessun vecchio contenitore leaderistico

Con nessun vecchio caro leader, che dai tempi dell’omicidio Moro stanno ancora lì.

Noi dobbiamo mobilitare tutte le forze civili che vogliono il cambiamento, che accettino questo nuovo modello di forza politica al servizio della gente.

La Sicilia è piena di forze civiche, noi siamo figli di questa storia civile da riscoprire.

TUTTO QUELLO CHE RIUSCIREMO A FARE NON SARà PER LA GLORIA DI DON STURZO, NON SARà PER LA MIA, NON SARÀ PER LA NOSTRA, MA PER LA LIBERTà DEL POPOLO SICILIANO E PER FAR NASCERE LA SPERANZA CHE UNA NUOVA ITALIA È POSSIBILE.

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