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I Dem e i Cinque Stelle ramazzano alcune zone di Milazzo


Volontari di 5 Stelle  Parco giochi della Pineta di S. Papino
Milazzo 5 luglio 2015
Il moltiplicarsi e diffondersi di forme di responsabilizzazione nella fruizione la cura condivisa dei beni e servizi comuni urbani, come: Mettiamoci la Faccia e Sporchiamoci le Mani, e rendiamo bella la nostra città “a cura dei Dem, oppure   quella di Meet Up di Milazzo che ha ridato decoro al Parco giochi della Pineta di S. Papino, con la scerbatura e la pitturazione dei giochi per bambini con vernice atossica, cancellando quelle scritte spregevoli all'occhio delle numerose persone che sogliano frequentare quel luogo, ed ancora  la pulizia delle spiagge, richiamano al principio di sussidiarietà orizzontale come pietra fondante di un nuovo welfare urbano 

Gli spazi e i servizi urbani funzionali al benessere della comunità locale
e alla qualità della vita urbana devono essere considerati "beni comuni urbani" alla cui produzione e cura devono poter concorrere in alleanza fra loro istituzioni e società civile. 
Foto di gruppo dei 5Stelle con il Sindaco Giovanni Formica

Carlo Donolo, sociologo, è uno degli studiosi italiani maggiormente impegnato nello studio di questi tipo di beni. In uno dei suoi editoriali apparsi su Labsus, rivendica la centralità di questi beni per la nostra vita e per le prospettive della società nel contesto globale: “i beni comuni sono centrali per ogni processo sostenibile, per lo sviluppo locale, per la coesione sociale, per i processi di capacitazione individuale e collettiva.
 La stessa sussidiarietà è in primo luogo capacitazione al governo di beni comuni”. 
Due i punti di vista: da un lato vi è la tendenza quasi violenta nel trasformare tutto quanto sia pubblico, comune e condiviso in bene appropriato, privatizzato, delimitato geometricamente da confini netti e pungenti; dall’altro vi è la tendenza a guardare oltre il fondamento utilitaristico e acquisitivo tipico del sentire moderno.
Questo secondo tipo di sguardo, seppur minoritario, è presente in seno alla società, ed è rappresentato da tutte le iniziative volontarie, individuali e collettive, spontanee o istituzionalizzate, che riguardano le attività di cura, di mantenimento e di riproduzione dell’eredità storico, ambientale e culturale. La prospettiva oggi dominante è rappresentata dal primo tipo di sguardo, la seconda è invece espressione di una sensibilità nata “dal basso”, che prende forma nel mondo 
i Dem in Piazza Impastato 
Molto probabilmente la disaffezione trova origine anche in una scarsa opera di educazione alla cittadinanza da parte delle istituzioni ma anche delle singole famiglie e della scuola. Eppure nella costruzione del benessere urbano è decisivo il coinvolgimento degli attori principali dell'ecosistema urbano, e cioè gli stessi cittadini che usano e vivono la città. 
E' interessante sapere che, queste forme di partecipazione e cura da parte dei cittadini non si limitano a quegli spazi urbani caratterizzati da una particolare "rilevanza culturale" (i.e. storica, artistica, architettonica, paesaggistica). ma anche spazi urbani che, pur non essendo caratterizzati dalla predetta rilevanza, rappresentano comunque un collante delle società locali e il cui degrado determina un degrado economico e sociale, diretto o indiretto delle collettività locali. Il degrado urbano è il prodotto e la causa anche della scarsa efficienza e del minimo coinvolgimento dei cittadini nella progettazione ed erogazione dei servizi locali. 
Si privilegia, dunque, una nozione relazionale di bene comune rispetto alle tradizionali classificazioni basate su caratteristiche morfologiche e titolarità formale dei medesimi. In qualche modo i beni comuni sono beni, cioè oggetti, fino a un certo punto. Essi non sono sempre equiparabili alle merci, ma il punto di maggior rilievo è che essi esistono solo in quanto sono parte di una relazione qualitativa (e non acquisitiva/appropriativa) con uno o più soggetti. In altri termini oggetto e soggetto non possono essere separati quando si parla di beni comuni. Non si possiede un bene comune, si è partecipi del bene comune. Non si può pretendere di "avere" una piazza, un giardino pubblico, un parco, si può aspirare ad "essere" parte attiva di un ecosistema urbano
 anche il Sindaco Giovanni Formica al lavoro
Sembra, insomma, di dover condividere qui l'opinione di chi ritiene che i "beni comuni divengono rilevanti in quanto tali soltanto se accompagnano la consapevolezza teorica della loro legittimità con una prassi di conflitto per il riconoscimento di certe relazioni qualitative che li coinvolgono. In altri termini, i beni comuni sono resi tali non da presunte caratteristiche ontologiche, oggettive o meccaniche che li caratterizzerebbero, ma da contesti in cui essi divengono rilevanti in quanto tali.

Questo vuol dire, ad esempio, che una piazza non è un bene comune in sé, semplicemente per essere un mero spazio urbanistico, ma lo diventa per la sua natura di "luogo di accesso sociale e di scambio esistenziale. Non è possibile separare i tratti fisici da quelli sociali di uno spazio urbano inteso come bene comune. E perciò non sarebbe possibile escludere determinati gruppi di persone da uno spazio urbano che, in quanto bene comune, è soggetto al principio dell'accesso universale. Dovrebbe, dunque, ritenersi invalido un provvedimento amministrativo che impedisse a particolari categorie di individui di usufruire di un determinato spazio urbano. Infatti, come sostiene Mattei, lo spazio urbano per eccellenza, e cioè la piazza, "appartiene a una comunità tipicamente globale, ossia di tutti quanti, stanziali o viandanti, possano in astratto godere della sua funzione di luogo di scambio. E ciò nei modi e nelle forme di cui ciascuno è interprete. Nell'ambito dei beni comuni il soggetto è parte dell'oggetto (e viceversa)" 
Tra le "libertà di altro tipo" deve, allora, essere annoverata anche quella che mette i cittadini in condizione condividere e cementare legami nella cura civica di beni comuni, cioè di quei beni che se impoveriti impoveriscono tutti e se arricchiti arricchiscono tutti . Ma nella consapevolezza che a subire in maniera più immediata gli effetti del dissipamento dei beni comuni sono proprio le fasce popolari più svantaggiate. Perché i beni comuni e i legami di cooperazione sociale che attorno ad essi si cementano, rappresentano per i più deboli e i più poveri una imprescindibile base di sostentamento e una loro eventuale distruzione o degrado può segnare il passaggio da una situazione di povertà a condizioni di non sopravvivenza. Tant'è che a parità di reddito il cittadino di un territorio povero di beni comuni è più povero del cittadino di un territorio ricco di beni comuni 
Ora, l'adozione di questa prospettiva rispetto al welfare urbano deve tendere a valorizzare la relazione strettissima che può instaurarsi fra qualità dell'ambiente urbano e pratiche d'uso quotidiane dei suoi abitanti e utilizzatori. Sotto questa angolazione, la comunità costruisce il proprio "spazio di vita" proprio attraverso l'"uso" che fa del territorio, un uso molteplice e variabile nel tempo. Secondo Crosta, infatti, "attraverso gli usi che ne facciamo, certamente non edifichiamo il territorio, bensì costruiamo il nostro 'spazio di vita', nel senso che ridefiniamo continuamente le condizioni del nostro rapporto d'uso col territorio, con tutti coloro che come noi usano il territorio, e con le istituzioni, le norme e le consuetudini che regolano l'uso del territorio. Se pensiamo al territorio come al nostro spazio-di-vita, allora abbiamo a che fare con uno spazio composito, la cui composizione varia nel tempo in relazione al tipo, alle modalità e ai tempi delle nostre attività". 
La qualità dello spazio urbano viene così a "dipendere non solo dalla quantità delle dotazioni - infrastrutture e servizi - presenti su un territorio e dalla qualità dei progetti e degli 'oggetti' localizzati sul territorio ma, anche - e soprattutto - dalle relazioni istituite fra la città materiale e chi vive la città, e dalle concrete opportunità che la prima offre ai secondi di 'abitare' la città, di viverla - bene - quotidianamente, secondo le proprie possibilità e necessità, di farla propria, trasformandola e adattandola alle proprie condizioni ed esigenze, materiali e immateriali. Per questa via, si fanno strada l'idea e la possibilità di un 'welfare urbano', incentrato su una più ampia concezione di beni e condizioni che sostengono la capacità delle comunità e degli individui a 'stare bene' nella città. 
Una concezione che include in particolare gli spazi e le pratiche di cittadinanza attiva, intesa come attivazione e responsabilità da parte dei cittadini di forme di cura e trattamento dei beni comuni e, in senso più ampio, come routine e comportamenti quotidiani, attraverso i quali è consentita a tutti i soggetti una maggiore partecipazione alla vita urbana e una maggiore accessibilità al benessere che lo 'spazio' materiale, sociale, culturale di cui è fatta la città è in grado di generare" 
Per questi beni la "cura pubblica", cioè quella affidata prevalentemente ai poteri pubblici locali, si sta rivelando insufficiente. Questo sia per ragioni economiche, derivanti dal progressivo rarefarsi delle risorse finanziarie pubbliche, sia per la scarsa capacità della p.a. di fare intelligenza collettiva, cioè di mettere a sistema il patrimonio conoscitivo e di competenze presente nella società e di far cooperare tra loro le diverse energie civiche per la cura di questi beni comuni locali. 
È, dunque, necessario mobilitare risorse ulteriori, aggiuntive (e non sostitutive) rispetto a quelle pubbliche.
La ricerca di questo "valore aggiunto" è indirizzata verso la società, organizzata o meno, nell'ambito di un'azione programmata e coordinata di lotta al degrado dei beni comuni locali che sia incentrata questa volta su una "cura civica" dei medesimi . 
Ed è altrettanto imprescindibile la ricerca di strumenti e strutture idonei a facilitare questo cambio di filosofia incentrato sullo scambio, la collaborazione, la messa a sistema di tutti gli attori; quelli pubblici dotati di poteri, risorse e mezzi indispensabili per la buona cura dei beni comuni; e quelli civici disponibili a mettere in campo le proprie energie, risorse, conoscenze, competenze per prendersi cura dei beni di comunità. 
La cura civica degli spazi urbani dovrebbe poggiare su quattro architravi, che rappresentano le linee di azione da intraprendere a livello locale a sostegno della riqualificazione di siffatti beni e per invertire la rotta del degrado e della disaffezione civica. Sono azioni caratterizzate da un diverso grado di praticabilità e incidenti su settori/oggetti diversi (formazione, comunicazione, regolamentazione, riqualificazione dell'ambiente urbano). 

La cura condivisa degli spazi urbani 
La prima linea di sviluppo registrata in questi ultimi anni riguarda la implementazione della normativa sui microprogetti di arredo urbano o di interesse locale e la diffusione su larga scala di forme di adozione civica degli spazi verdi urbani e, da ultimo, le diverse iniziative regolatorie sviluppatesi a livello comunale per favorire la creatività urbana. 
In definitiva, ciascuno di noi, obbedendo a regole di buon comportamento civico nella propria vita privata, sia con riguardo all'uso di beni privati, che con riguardo all'uso di beni pubblici, può dare il proprio contributo per tutelare l'interesse generale o, meglio con una terminologia a noi più cara, i beni comuni. I cittadini possono diventare i migliori alleati delle amministrazioni.


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