ERAVAMO DIVENTATI GRANDI - L'ultima fatica editoriale di Santino Smedile - presentata presso il salone dei Carmelitani.
ERAVAMO DIVENTATI GRANDI - L'ultima fatica editoriale di Santino Smedile - presentata sabato 11 gennaio 2025 alle ore 17 presso il salone dei Carmelitani, cui si accede dall’atrio del Carmine.
Dopo “Altro giro, altra corsa” - il più autobiografico libro della triade dei libri dello scrittore Santino Smedile , che negli ultimi anni ha voluto mettere su carta e consegnare a chi li ha vissuti volti, nomi, eventi di un mondo che merita di essere ricordato. E lo ha fatto con “Dalla Sena in poi…” e con “Non avevamo l’età”.
L'autore milazzese - ritorna in libreria con la V^ opera " ERAVAMO DIVENTATI GRANDI "edizioni Tipografia Lombardo - presentata sabato 11 gennaio 2025, presente un numeroso pubblico, presso il salone dei Carmelitani di Milazzo
Quella dell'autore milazzese è una testimonianza - uno spaccato delle società che abbraccia un periodo temporale di oltre trenta anni.
La Milazzo degli anni 60, i personaggi, gli avvenimenti, le musiche, i matrimoni, le esperienze giornalistiche, il tutto attraverso i ricordi dei ragazzi del Liceo classico Impallomeni di Milazzo contesi dal comitato studentesco, la contestazione giovanile, gli impegni politici, i sorteggi natalizi.
"ERAVAMO DIVENTATI GRANDI "- Gli anni ‘50 -60 sono unanimemente considerati dalla storiografia come il periodo durante il quale il nostro paese, benché uscito sconfitto da una guerra lunga e sanguinosa, riuscì, pur tra innumerevoli difficoltà, a diventare una delle nazioni più industrializzate dell’Occidente.
Sono in particolare gli anni del cosiddetto miracolo economico, il quinquennio compreso tra il 1958 e il 1963, a lasciare un segno indelebile nel tessuto sociale e culturale della nazione. Numerosi i fattori che hanno inciso su questa radicale trasformazione, per primo la fine del regime di autarchia che rivitalizzò il sistema produttivo italiano, costringendolo a modernizzarsi,
Il Piano Marshall, che permise l’afflusso dei macchinari e del know how americani e infine il ruolo fondamentale svolto dai grandi conglomerati nazionali quali l’Eni di Enrico Mattei, l’Iri e l’Edison, per il progresso dell’industria petrolchimica e la produzione di fibre sintetiche e fertilizzanti.
Figli di quella generazione nata dopo la prima guerra mondiale, vissuta durante il ventennio fascista, costretta dopo anni di guerra a rimboccarsi le maniche per ricostruire il futuro sulle macerie di una bruciante sconfitta, abbiamo avuto la fortuna di vivere una giovinezza fatta di graduali conquiste, giorno dopo giorno, in un contesto di pace
Forse abbiamo da farci perdonare la nostra incoscienza, principale responsabile di errori che oggi non ripeteremmo più, anche se non ne siamo tanto sicuri…
"Complice il momento - alla nostra età ci sentivamo grandi anche se anagraficamente non lo eravamo."
I diciott’anni, visti come un traguardo, si rivelavano spesso un punto di partenza! Ci attendeva il foglio rosa, ma non ci era permesso di andare a votare; si chiedevano le chiavi di casa, ma non bisognava fare le ore piccole;
pochi fortunati ottenevano la macchina di papà, ma a condizione che ci fosse qualcuno con la patente di guida a fianco… A diciott’anni ci attendeva anche la maturità, sancita dal superamento degli esami di stato, da quella dicitura sul tabellone dei quadri, MATURO!
Mai aggettivo fu più agognato! Era il lasciapassare per la vita, il passaporto per il mondo del lavoro, il biglietto in tasca per andare a studiare lontano, in un’altra città, per affittare una casa, essere indipendente, e guardare con fiducia al futuro una volta conseguita la laurea.
"ERAVAMO DIVENTATI GRANDI"- mentre Milazzo cresceva e viveva il suo periodo più prospero grazie al benessere economico vissuto in tutti i settori, è la frase che ci porta a constatare che la giovinezza, l’incoscienza, la spensieratezza, l’arroganza, la presunzione di ieri sono comuni a tutti i minorenni......
Gli esiti sociali del miracolo economico sono altrettanto variegati e complessi: si pensi al massiccio flusso migratorio dal Sud al Nord, all’esodo imponente dalle campagne verso i centri urbani, nonché all’abbandono, talora definitivo, dei modi e degli stili di vita preindustriali. Tuttavia, la vera rivoluzione degli anni ‘50 è rappresentata da un sostanziale aumento del benessere materiale, grazie all’accesso da parte di una fetta sempre crescente della popolazione a quella sfera del loisir (Tempo libero) prima di allora del tutto sconosciuta ai più.
“Il boom della carne, i cibi confezionati, il burro e il latte: cosa mangiavamo all’epoca del miracolo economico, dove un’Italia finalmente affrancata dalla miseria mescolava tradizione e, per la prima volta, consumi di massa”
Così il consumismo, reso possibile dal fordismo, ovvero dalla produzione in serie e automatizzata di beni di consumo, diventa la parola chiave per definire questa epoca. Non c’è da stupirsi pertanto se anche la dieta degli italiani subisce una serie di cambiamenti risolutivi.
Se nell’Italia agricola e preindustriale era il pane l’alimento principale della maggioranza della popolazione, nel corso degli anni ‘50 il cibo identificativo dell’intero paese diventa invece la pasta: agnolotti, bucatini, maccheroni, penne, spaghetti, purché sia pasta, condita con salsa di pomodoro che per il pranzo della domenica diventa addirittura ragù.
È del 1954 la scena gastronomica più famosa del cinema italiano: Alberto Sordi che non riesce a trattenersi di fronte a un piatto di spaghetti in Un americano a Roma.
Un altro importante aspetto è rappresentato dall’introduzione degli elettrodomestici, che finiranno col mutare radicalmente le abitudini alimentari degli italiani. Tuttavia, è ancora lontano il tempo del cibo surgelato, così solo in primavera si trovano al mercato i piselli, così come solo d’estate sono reperibili le melanzane, i peperoni e i pomodori.
Inoltre, la mancanza di autostrade e di collegamenti agevoli non permette commistioni alimentari, dunque il panettone natalizio è una rarità per i meridionali; il pesto lo si può assaggiare solo in Liguria, e per mangiare una vera pizza bisogna andare a Napoli. Ragion per cui, l’alimentazione di quegli anni è totalmente basata su prodotti locali, stagionali e freschi.
Ma come detto poco sopra, il vero salto, insieme economico e culturale, viene favorito dall’avvento degli elettrodomestici, primo fra tutti il frigorifero, che diventa un vero e proprio feticcio per tutte le casalinghe dell’epoca; i primi, messi in commercio dalla Fiat, sono senza congelatore, di color bianco e dal design smussato e tondeggiante.
Nel 1958 la Citterio introduce sul mercato gli affettati in vaschette sottovuoto, inizia così il lento ma inarrestabile declino di un rituale tutto italiano: il taglio dei prosciutti davanti al cliente da parte del salumiere; le norcinerie, dove sapienti figure artigianali si erano dedicati sino ad allora alla gloria del maiale, cominciano a chiudere, rimpiazzate dai supermercati; il primo, creato dalla Supermarkets Italiani, che allora era in maggioranza del magnate americano Nelson Rockfeller, apre a Milano, in Viale Regina Giovanna, nel 1957.
Qui è possibile trovare prodotti come il pomodoro in tubetto, che decreta il successo del marchio Mutti, e i Bucaneve Doria, biscotti a forma di fiore con la glassa di zucchero e il buco centrale. E poi il panettone Motta, i dadi da brodo, le minestre in barattolo della Cirio, le scatolette Simmenthal, i crackers all’americana, le caramelle al miele Ambrosoli, il liquore Strega.
Si comincia anche a consumare, sia pur in modeste quantità, la carne in ossequio al regime alimentare iperproteico importato dagli Stati Uniti.
E quando, nelle occasioni solenni, si vuole mangiare fuori casa si va in trattoria, vero punto di riferimento della memoria gustativa dell’epoca. Qui i costi sono modesti e i sapori intensi. L’ostessa prepara i cibi, mentre il marito porta in sala i piatti. Le specialità delle trattorie sono i piatti regionali.
Nasceva un’Italia nuova, espressione nostrana di un American way of life tutto acquisti e consumismo: in cucina questo si tradusse, da un lato, con la corsa all’acquisto dei cibi un tempo considerati “ricchi” e diventati di massa, celebrati dalla neonata televisione e ora alla portata di tutti grazie ai primi supermercati. Il boom del consumo di carne bovina – da sempre simbolo di benessere, fino a qualche anno prima – è lì a testimoniarlo, così come l’affermazione su tutto il territorio nazionale di piatti considerati un tempo regionali, come la pizza e i vari tipi di pasta.
Una sorta di “alfabetizzazione del gusto” o “italianizzazione della tavola” – d’altronde sono gli anni di Alberto Manzi e Non è mai troppo tardi – che in fondo “fecero gli Italiani” assai di più di quanto avessero sognato un secolo prima i nostri padri risorgimentali. Ma c’è anche il rovescio della medaglia: i “vecchi” cibi fatti in casa iniziano ad essere visti con disprezzo e ad essere sacrificati sull’altare del cibo confezionato e industrializzato, una tendenza che si radicalizzerà negli anni 70.
I primi supermercati, ma anche le latterie del Nord Italia, sono pieni del grasso per eccellenza di quegli anni: il burro. Questo ingrediente è praticamente ovunque, e già dal decennio precedente aveva sfondato nella cucina romana poi arrivo anche in Sicilia.
Negli anni 60 possono essere considerate un piatto simbolo le tagliatelle al doppio burro , ricetta nata nel lontano 1908 ma che dopo il 1960 conoscerà il suo massimo splendore.
Leggendo questo libro sarà possibile rivivere i tempi in cui le cose si riparavano e non si gettavano; si potrà rivivere la semplicità la solidarietà la dignità il senso del dovere e la sacralità della parola data che hanno caratterizzato la società dei nostri nonni; si potranno sentire le voci e i rumori che riempivano strade e cortili.
Davanti agli occhi del lettore attento sfilano volti e luoghi, divertimenti e scherzi, malinconie e suggestioni da far apprezzare il libro anche fuori dai confini della nostra città.Attraverso le righe della commedia venata però di malinconia, l’Amarcord dell’autore distilla generosamente.
Leggendo questo libro sarà possibile rivivere i tempi in cui le cose si riparavano e non si gettavano; si potrà rivivere la semplicità la solidarietà la dignità il senso del dovere e la sacralità della parola data che hanno caratterizzato la società dei nostri nonni; si potranno sentire le voci e i rumori che riempivano strade e cortili.